Intervista a cura di Roberta Treu
La bellezza è nell’occhio di chi guarda, recita un famoso proverbio e, come è noto, i vecchi detti hanno sempre un pizzico, se non di più, di ragione. Di bellezza, nelle sculture realizzate da Beppe Borella, ce n’è tanta, da lasciare a bocca aperta. A casa sua, a Ranica, le numerose opere accolgono gli ospiti, silenziosamente maestose. In marmo, plendenti e levigate, dalle forme accattivanti. Semplici, ma che immediatamente conquistano l’occhio e la mente anche di chi, di arte, non ha mai sentito parlare.
“Quella, se la guardasse un bambino” spiega commentando un’ imponente creazione astratta che troneggia in giardino “potrebbe anche sembrare un formaggio, perché ha dei buchi rotondi. Un altro potrebbe vederci dei pianeti che galleggiano nello spazio. Per me, potrebbe rappresentare la fatica del lavoro e quindi la liberazione dal peso del marmo. Va bene. Ognuno è libero di vederci quello che vuole.”
Traspare semplicità, dalle parole di Beppe. La voce è bassa, il tono rilassato e la cadenza è lenta, mentre racconta la storia di come, da autodidatta, è diventato uno scultore. “Ho iniziato a 14 anni a lavorare facendo il fabbro, poi sono diventato muratore. Fra i tanti incarichi, un giorno sono stato ingaggiato dal gallerista Stefano Fumagalli per sistemargli casa e galleria. Durante le ristrutturazioni, ho avuto modo di conoscere molti artisti. All’inizio non ero molto interessato a quel mondo, ma poi, piano piano, mentre mi recavo alle mostre degli autori che ormai conoscevo bene, mi veniva spiegata ogni opera ed ho cominciato ad apprezzarne e comprenderne il significato. Ho stretto amicizia con il famoso Giuseppe Uncini, con il quale ho collaborato alla realizzazione delle sue opere in ferro e cemento.”
Una serie di eventi in bilico fra casualità e destino, portano Beppe verso quella che diventerà la sua passione ed al fiorire del suo innato talento. I dettagli delle sue sculture sono attentamente e minuziosamente rifiniti, tanto che verrebbe voglia di disporre in posizione quei piccoli carrarmati multicolori e giocare una vera partita a Risiko. Il sacco di dollari di Zio Paperone, realizzato in marmo dorato levigato, proietta l’osservatore in un passato innocente fatto di fumetti e di bambini curiosi. Il salvagente pare appena gonfiato e pronto ad immergersi nelle onde e, se fosse posizionato in una località balneare, certamente trarrebbe in inganno anche il bagnante più affezionato.
Beppe è una persona alla mano. È un artigiano, classe 1972, dalle abilità manuali innate, ma anche allenate da anni e anni di pratica cominciata in giovane età, come ormai non si usa più. “Un giorno sono stato chiamato per rinnovare il capannone di un marmista. Il titolare, vedendo che sono uno che ha voglia di fare, mi ha chiesto di stare lì a lavorare per lui, anche se non avevo esperienza. È iniziata così: ho cominciato che non sapevo far niente e adesso, invece, sono 25 anni che sono lì.”
Anche le pareti del suo garage sono una colorata esposizione di sculture realizzate in prezioso marmo luccicante, dalle più diverse forme e dimensioni. Ogni opera esprime l’eternità del materiale con il quale è realizzata, unita alla leggerezza data dalla lavorazione armoniosa e sapiente. “Apprendevo il mestiere e imparavo ad utilizzare gli strumenti per il marmo, ma non avevo dimenticato le esperienze degli anni precedenti. Ammiravo le esposizioni di sculture astratte e mi recavo alle mostre. Succedeva che, a volte, mentre lavoravo, quando mi capitava di vedere un pezzetto di marmo che mi piaceva, lo lavoravo e lo lasciavo lì, senza pensare a cosa ne avrei fatto. E uno e due, tre, quattro, cinque, sei, e adesso siamo a quota ottocento sculture.”
Le sue opere rimandano a temi di attualità, oppure sono una rivisitazione della sua infanzia. Lo sguardo di Beppe si fa distante e i suoi occhi più scuri, mentre ricorda: “Provo nostalgia per la gioventù e per i tempi passati, quando si era senza pensieri. Purtroppo, però, non si può tornare indietro, le lancette dell’orologio vanno sempre in avanti; quindi, affido all’eternità del marmo i ricordi del mio mondo di bambino.”
Mentre racconta le tecniche di lavorazione e le varie caratteristiche del marmo, trasmette una profonda conoscenza e un grande rispetto per il materiale che utilizza. I “suoi” marmi hanno diversi nomi, affascinanti e poetici: Valentine Grey, Giallo Siena, Nero Armati. A questi nobili materiali, dopo essere trattati a regola d’arte, viene affidato il compito di trasmettere emozioni a grandi e piccini. “Le mie opere, inizialmente erano astratte, poi mi sono dedicato a creazioni che fossero riconoscibili da tutti e semplici da capire. Mi rivolgo non solo agli estimatori, ma anche alle persone comuni, ad esempio tutti conoscono Topolino, anche i bambini. Il bello delle sculture è che chi le guarda, ci può vedere quello che vuole”.
Si dice che i grandi artisti del passato, andassero in cava e vedessero già nel blocco di marmo la scultura che pareva volesse emergere. Beppe racconta: “All’inizio il blocco di marmo si presenta come un grande sasso informe e nella realtà non funziona così, o meglio, a volte riconosco nel determinato pezzo, la scultura come la vorrei realizzare, altre volte metto insieme i vari frammenti e li assemblo secondo il progetto che ho in testa.” È una fucina inesauribile di idee e di creatività, ma lui alza le spalle e minimizza: “Io mi definisco un artista di strada, non ho studiato all’Accademia e non conosco le belle parole. Soprattutto non mi reputo neanche uno scultore. Gli scultori li immagino tipo Michelangelo o Bernini, che hanno fatto quelle meraviglie. A me piace anche costruire con il marmo, non solo scolpire. Per esempio, le macchinine e gli omini sono assemblati con il ferro e altri materiali. È un modo diverso di fare una scultura, che richiede un grande impegno, precisione e ore di lavoro.”
Asteroidi che fluttuano, riflessi in uno specchio che ne restituisce l’immagine, per un’idea di cosmo infinito. Grezze incisioni su di un quadro di marmo, per far riflettere su quanto l’umanità sta facendo al nostro pianeta sofferente. La domanda, che ognuno dovrebbe porsi: l’uomo, con le sue costruzioni e l’inarrestabile progresso, ha rovinato la terra o invece l’ha abbellita? Il Topolino sorridente recava in mano due bottiglie vuote ed è stato esposto alla Biennale di Soncino. Voleva sensibilizzare i visitatori sull’importante e attualissimo tema “plastic-free”.
I personaggi Lego sono composti da materiale dai vari colori e diverse provenienze e toccano il tema del razzismo: un marmo arriva dalla Spagna, un altro dall’Italia, uno dalla Persia, ma tutti possono convivere tranquillamente” spiega Beppe che, ad ogni sua scultura, ha attribuito un significato importante. E ancora, il tema della guerra, i soldi che ormai hanno monopolizzato le vite delle persone, l’Aids, i millennials e la dipendenza dai social.
Beppe ha scoperto questo talento nascosto, quasi per caso e ora dà voce ai suoi pensieri, armato di scalpello e flessibile. “Oggi sono l’uomo più felice del mondo perchè le mie sculture sono state apprezzate in Irlanda, in Nuova Zelanda, in Olanda a New York, in Australia e persino in Sud America. Sono grandi soddisfazioni”. Sono le sue creazioni, “i suoi bambini” e lui ci si è affezionato perché ci ha messo tanto cuore e impegno per realizzarle.
La determinazione, unita al talento ed alla fatica del lavoro manuale, ha permesso la trasformazione di un sasso grezzo in un prodotto artistico. L’obiettivo di sensibilizzare il pubblico su tematiche attuali e importanti trascende la freddezza del marmo e quando l’artista riesce a spogliare la sua opera dai fronzoli della vanità e renderla fruibile a tutti ecco che, allora, la bellezza non è più solo negli occhi di chi guarda, ma è diventata magia.
INTERVISTA IMPOSSIBILE A BEPPE BORELLA
TRA IRONIA E DADA
Testo a cura di Stefano Bianchi – Ponti x l’Arte Associazione Culturale
IL DADO É TRATTO
Testo a cura di Anna Facchinetti
IL LINGUAGGIO TRASVERSALE DELLE SCULTURE DI BEPPE BORELLA
Testo a cura di Francesca Baccalà
BEPPE BORELLA, SCULTORE: "Affido all'eternità del marmo i ricordi del mio mondo di bambino"
Intervista a cura di Damir Zubcic
Alcuni pensano in contrario, affermando che la sua produzione sia ben mirata e legata a un filo rosso che proviene dal mondo d’infanzia, dove ogni opera è un monumento solido, probante: un tentativo di arrestare la fugace corsa del tempo che racchiude l’età d’oro infantile, l’unica che testimonia la nostra totale completezza psicofisica.
B.B.
“I carri armati, ecco i carri armati! sono la mia vera ossessione: potenti e vulnerabili al massimo grado, calpestatori e calpestabili in un istante fulmineo, sempre mortale. Sono le tartarughe che portano il firmamento e la terra nel loro carapace, caparbiamente, verso un destino fatale, lacerato. Dilaniatori di sé stessi.
D.Z.
“Pinocchio aveva una vita sessuale?”
B.B.
“Pinocchio è sempre visto come un essere asessuato: un idiota (nel senso dostoievskiano) di legno che esotericamente cresce passando per i vari stati iniziatici. Ma la sessualità, dov’è?
Proprio quella sessualità, il perpetuum mobile di conoscenza che già d’infanzia interrompe sulla scena della nostra vita?
Il Pinocchio non verginello, ma fanciullo-uomo solare, creatore di se stesso.”
D.Z.
“La nostra realtà, la vita vissuta è segnata da una mollezza palpabile?”
B.B.
“Siamo appesi a una gigantesca molletta: la chiamano Vita, lo Stato o Dio, la cui presa man mano si indebolisce. Essa testimonierà la nostra vertiginosa caduta nell’abisso, nell’Ignoto dove una volta caduti, il saper nuotare non sarà un’arte facoltativa.
D.Z.
“Numerose persone nella nostra civiltà non credono nel paradiso?”
B.B.
“Che cos’è il paradiso? [Welcome to Paradise!]
Etimologicamente un giardino recintato. E perché no uno stadio di calcio o una piattaforma labirintica arcade del video gioco, dove si gioca a ottenere il massimo punteggio, quel Perfect Score, il punteggio perfetto di 3.333.360 punti.
Il paradiso non è la spiaggia tropicale, la distesa di sabbia calda.
Lo contemplo come il labirinto, certamente non abitato dal terribile Minotauro, ma pur sempre il labirinto nel quale bisogna impegnarsi, mettendo in gioco noi stessi. Siamo PAC-man ovvero la Pallina d’Arte Contemporanea, gialla e veloce, la vincitrice come il sole che brucia i fantasmi pericolosi.
TABLEAUX SCULPTURES
Testo a cura di Stefano Bianchi
È dell’umorista americano Arthur Bloch, autore del libro La legge di Murphy: «La scultura è quella cosa contro la quale vai a sbattere, in un museo, quando fai due passi indietro per guardare meglio un quadro».
Bene.
Borella si trova talmente a proprio agio con il marmo, l’onice, la quarzite; padroneggia e scolpisce a tal punto la materia, da permettersi il lusso di appenderla alle pareti.
Di trasformarla in Tableaux Sculptures.
Preziosi quadri sculture, come quelli esposti lo scorso anno a Parigi e questi, che state osservando e ammirando.
L’artista lombardo parte da una superficie monocromatica (naturale o smaltata), la incide o la buca fino a creare le serie Orbite, Depth, Double Sign, Color, Spazi e Tagli che s’ispirano e reinterpretano l’arte Ottico-Cinetica, la Pittura Analitica, lo Spazialismo, le Estroflessioni.
E sulla superficie, ogni volta, convivono visibile e invisibile, luci e ombre, idea e realizzazione.
Vi sono poi Orbite, Epicentri e Spazi, minuziosamente incorniciati, dove Borella evidenzia le nervature del marmo; oppure (nelle ControNature) dove l’incisione spezza o esorcizza la nervatura stessa.
In entrambi i casi, a prima vista, la contemporaneità del marmo si confronta con l’antichità delle cornici in legno.
Nella realtà, i ruoli si ribaltano: è la storia del marmo, millenaria, a rendere contemporanee le cornici.
TESTO A CURA DI MONIA MALINPENSA
SCHERZI D’OMBRE E MATERIA
A cura di Cristian Bonfanti e Mariangela Peroni
La materia è possente e viva e nasconde in se ciò che l'artista ha il compito di liberare.
Beppe Borella sente il bisogno di entrare nelle venature del marmo, di scalfire il granito e modellare la pietra, instaurando con essi un rapporto empatico.
L'incontro con Giuseppe Uncini fu il suo primo contatto con il mondo della scultura, da cui l'interesse a documentarsi sul lavoro di autori contemporanei: da Boccioni a Fontana, da Burri a Pomodoro, fino a Castellani e a Piero Manzoni. Artisti che hanno saputo ispirare in differenti modi l'approccio al mondo dell'arte di Beppe Borella. E' soprattutto Manzoni che con l'ilarità, il paradosso, la provocazione e la genialità delle sue opere, innesca il bisogno di sperimentare nuove idee.
Ogni materiale può scherzare e "divertirsi" con la creatività innata di Beppe Borella che arriva a considerarne ogni colore, forma e consistenza, un potenziale elemento che, interagendo con l' "idea", da forma all'opera d'arte.
E' così che nascono moduli infiniti e giochi d'ombre che trasportano la memoria di chi osserva a ricreare, grazie alla lavorazione di pietra e marmo, minuscoli paesaggi e rimandi ad altri elementi naturali. In alcune opere si ritrova il bisogno di oltrepassare la superficie per andare al fondo della materia senza alterarne la sostanza; in altre, con un chiaro richiamo a Boccioni, la dispersione delle forme all'interno dello spazio plasma la pietra mantenendone inalterata la natura.
Ogni opera ha quindi in se la scoperta di nuove forme e nuove idee.